“Sembra essere impossibile fino a quando non viene fatto” (Nelson Mandela)

Da numerosi studi è stato riscontrato come il cambiamento risulti essere un fattore di primaria importanza nell’ambito della cura alla persona.

Quando una persona si rivolge ad uno psicoterapeuta per i propri problemi, mostra una certa disponibilità al cambiamento. Questo risulta generalmente influenzato dall’ansia e dal timore nei confronti del cambiamento stesso e dal grado di rigidità delle proprie convinzioni e abitudini di pensiero.

Inoltre, persone che chiedono aiuto per un certo problema  mostrano diversa disponibilità a modificare alcuni personali pensieri ed atteggiamenti rispetto a chi chiede aiuto per altre tipologie di disturbi. Ad esempio, chi chiede di essere aiutato per un disturbo di panico dimostra, in genere, una motivazione più alta al cambiamento rispetto a coloro che chiedono aiuto per il trattamento di una qualche forma di dipendenza. Ciò che principalmente determina tali differenze nell’approccio al trattamento sta nel fatto che alcuni disturbi hanno maggiori caratteristiche di “egosintonia”, ovvero che alcune forme di disagio rispetto ad altre non vengono percepite come “corpi estranei” dalla persona stessa, come problemi da superare, come condizioni invalidanti. Vengono, al contrario, visti come “ego sintonici”, cioè parti di sé e come naturale conseguenza del proprio modo di essere (ad es. nei Disturbi Alimentari). In casi simili, spesso la persona non entra in terapia per risolvere il proprio problema, quanto piuttosto per soddisfare le pressanti richieste dei familiari.

In altri tipi di disturbi, invece, è il paziente stesso a decidere di intraprendere un percorso di cura ma, talvolta, inizialmente non ha una motivazione centrata sulla soluzione del problema: la richiesta rivolta al terapeuta è di alleviare la propria sofferenza psicologica.

Ma come funziona un percorso volto ad un processo di modificazione nel paziente e da che cosa dovremmo partire per attuarlo?

Vari studi scientifici riferiscono che il fattore predittivo più importante per l’esito positivo della terapia è rappresentato dalla motivazione al cambiamento da parte del paziente. Nella media delle terapie medio-brevi, quali ad esempio, la terapia cognitivo-comportamentale, è più probabile che i risultati siano rapidi e a lungo termine in quei pazienti che si dimostrano impegnati con il terapeuta a raggiungere determinati obiettivi prefissati e concordati.

Al fine del raggiungimento di tali obiettivi, è indispensabile possedere innanzitutto un buon livello di motivazione: con questo termine, intendiamo descrivere uno stato interno che attiva, dirige e mantiene nel tempo il comportamento di un individuo.

A tal proposito, è utile identificare due principali tipi di motivazione, cioè quella intrinseca e quella estrinseca.

Con la prima, si intende quella spinta ad attivare determinate risorse interiori generata da un insieme di caratteristiche ed esperienze personali dell’individuo (es. impegnarsi in un’attività perché la riteniamo stimolante e gratificante in se).

La motivazione estrinseca, invece, si determina in una certa situazione in base a delle spinte esterne alla persona (es. impegnarsi in una certa attività per motivi diversi dalla cosa in se).

“La motivazione al cambiamento è una spinta che dipende dal grado in cui la persona riesce ad accorgersi degli aspetti negativi della propria condizione attuale”